Contro la crisi economica investire su città e Regioni



PIÙ FRAGILE IL processo di costruzione europea e le solidarietà che ne risultano. Serve subito un nuovo compromesso europeo per uscire in modo duraturo dalla crisi economica e finanziaria. Questo compromesso passa per una maggiore integrazione politica dell’ Unione europea, che obbligherà in particolare gli Stati membri a un atteggiamento di bilancio più rigoroso, ed esige che il nostro continente si diriga verso un modello di sviluppo sostenibile, che dia più spazio all’ innovazione, all’ occupazione e alla giustizia sociale. È nostra ferma convinzione che in questo contesto le regioni e le città abbiano un ruolo cruciale da svolgere. Grazie anche a un indebitamento più contenuto, sono oggi il motore degli investimenti pubblici e i garanti dei meccanismi di solidarietà nei nostri territori. Ma da quasi quattro anni la crisi mette a repentaglio le loro capacità di investimento per tre diverse ragioni. Anzitutto, diversi governi, alle prese con i necessari aggiustamenti di bilancio, sono stati costretti a ridurre le dotazioni degli enti territoriali che, sollecitati da popolazioni alle prese con difficoltà crescenti – secondo le ultime statistiche europee, il 40% dei disoccupati sono senza lavoro da più di un anno e 110 milioni di persone sono minacciate dalla povertà o dall’ esclusione sociale – devono continuare ad assicurare, ora più che mai, il buon funzionamento dei servizi pubblici. In mancanza di risorse dirette alternative provenienti dal settore produttivo, gli investimenti locali hanno quindi fatto registrare un calo di oltre il 7% nel 2010, proseguito nel 2011. In secondo luogo, una parte degli Stati membri – i cosiddetti contributori netti – vogliono ridurre il bilancio europeo per un importo dell’ ordine di 100 miliardi di euro nell’ arco di sette anni. La disputa sembra caricaturale se si pensa alle somme colossali sborsate per correre in aiuto delle banche dal 2008 e sapendo che il bilancio complessivo europeo, che è comunque sostanzialmente un bilancio d’ investimento, è pari a poco più dell’ 1% del reddito nazionale lordo dell’ Unione Europea. È questa, del resto, la ragione che ci spinge a chiedere con forza che si creino rapidamente nuove risorse proprie, come la tassa sulle transazioni finanziarie. Infine, il nuovo «Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance», caratterizzato da un’ impostazione nettamente intergovernativa, dovrebbe entrare in vigore fra breve e senza dubbio imporrà all’ Unione europea un’ austerità che andrà a pesare sulle condizioni di rifinanziamento degli enti regionali e locali. Per ritrovare la via della crescita, affrontare il problema della disoccupazione giovanile e permettere alle imprese, specie piccole e medie, di recuperare competitività, è assolutamente necessario restituire agli investimenti sul territorio una posizione di preminenza. Solo così possiamo uscire dalla crisi. Per ridurre le nostre emissioni di gas serra e i nostri consumi energetici, per migliorare l’ efficienza degli edifici e dei trasporti, come affermato nella Dichiarazione di Copenaghen del marzo 2012, occorrono principalmente interventi nelle città, e investimenti che consentano di modernizzare impianti e strutture. Il miglioramento delle condizioni di vita e l’ accesso a servizi pubblici efficienti per tutti, nei quartieri in difficoltà come nelle zone rurali o periferiche isolate, presuppone anche investimenti pubblici di lungo termine in materia d’ istruzione, di sanità e d’ informazione… Creare nuova occupazione è possibile solo se la formazione saprà rispondere alle esigenze del mercato del lavoro regionale o locale. In altri termini, se gli attori socioeconomici e gli enti territoriali potranno contare su un sostegno finanziario stabile da parte dell’ Unione europea e degli Stati membri. Questi investimenti rivolti al futuro riguardano anche grandi opere e infrastrutture capaci di contribuire ad arginare l’ emorragia dei posti di lavoro nel comparto industriale, restituendo ai nostri territori un quadro di sviluppo competitivo, collegandoli al di là delle frontiere nazionali e gettando così le basi di una nuova competitività a livello internazionale. L’ Unione Europea ha inventato da molto tempo uno strumento che rende possibile una collaborazione efficace tra tutti i livelli di governance impegnati per lo sviluppo economico e sociale. È la politica di coesione. Il Parlamento europeo, la Commissione e il Consiglio dell’ Ue definiscono per un periodo di sette anni la strategia e gli obiettivi comuni, che vengono poi declinati negli Stati membri in funzione dei diversi territori in un negoziato che coinvolge le città e le regioni. La sicurezza del finanziamento pluriennale permette di effettuare investimenti di lungo termine. Con i finanziamenti della Banca europea per gli investimenti, di cui oggi tanto si parla, sono già istituiti nuovi strumenti innovativi. Questa politica, integrata dai project bond, ha sicuramente il potenziale per avviare l’ Europa verso un modello di sviluppo più creativo, solidale e sostenibile.Invochiamo quindi un vero cambiamento di strategia, che dia agli enti territoriali tutto lo spazio che meritano, nel pieno rispetto delle esigenze di consolidamento di bilancio. Agli Stati membri incombe la responsabilità di razionalizzare le loro spese ma senza ipotecare il nostro futuro e la possibilità, per l’ Unione, di raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati con la strategia Europa 2020. Senza le regioni e le città quegli obiettivi resteranno lettera morta, perché solo mobilitando la loro conoscenza delle esigenze dei territori, la loro creatività e il loro dinamismo, sarà possibile riportare l’ Europa sul sentiero della crescita.