Insieme a 42 Province via enti e agenzie minori

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La riduzione delle Province ci sarà. Ma nell’ ambito di una «riforma di sistema» che abbraccerà l’ intera amministrazione del territorio: città metropolitane, unioni di Comuni, uffici periferici dello Stato, enti e agenzie minori. A confermarlo è stato ieri il ministro della Pubblica amministrazione e semplificazione, Filippo Patroni Griffi. Intervenendo all’ assemblea nazionale dell’ Upi in corso a Roma, il responsabile di Palazzo Vidoni ha lasciato intendere che all’ interno del decreto sulla spending review atteso sul tavolo di Palazzo Chigi la prossima settimana ci sarà un capitolo dedicato alla riforma di tutte quelle strutture che lungo lo Stivale si interfacciano con i cittadini. Capitolo che sarà più o meno ampio a seconda di quante e quali misure supereranno il divieto di inserire in un Dl delle norme ordinamentali. La strategia del ministro rispecchia quella anticipata sul Sole 24 ore di lunedì 25 giugno. Rinviando al post-Cdm per i dettagli, il titolare della Funzione pubblica ha spiegato di essere al lavoro con i colleghi Piero Giarda e Anna Maria Cancellieri su un modello di sistema alternativo a quello contenuto nell’ articolo 23 del «salva-Italia» – che trasforma le Province in enti non più elettivi lasciando loro solo funzioni di coordinamento dei Comuni sottostanti e su cui pende un giudizio di costituzionalità, ndr – che «riguarderà sia l’ amministrazione periferica dello Stato sia il sistema delle autonomie». E che potrebbe necessitare, per il suo completamento, di un arco di tempo superiore alla legislatura. Si dovrebbe partire dall’ istituzione delle 10 città metropolitane (Torino, Milano, Genova, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari e Reggio Calabria) e dalla soppressione di almeno 42 Province su 107. Tutte quelle cioè che risulterebbero prive di almeno due dei tre criteri fissati dai tecnici dell’ Esecutivo: popolazione residente superiore ai 350mila abitanti; estensione territoriale di 3mila chilometri quadrati o più; presenza di almeno 50 municipi nel loro ambito. Un numero, il 42, che seppur non ufficializzato per Patroni Griffi è quello che «si avvicina di più alla realtà». Dal taglio resterebbero esclusi i capoluoghi di Regione e le amministrazioni comprese nei territori a statuto speciale. Se invece si riuscisse a coinvolgere anche queste ultime realtà nella partita, approntando una modifica dei rispettivi statuti regionali, gli enti eliminati salirebbero a 51. In un caso o nell’ altro si produrrebbe l’ effetto curioso di lasciare in vita in Toscana la sola Firenze, in Liguria la singola Genova e in Emilia Romagna il tandem Bologna-Parma. La scure del Governo dovrebbe contestualmente abbattersi sugli uffici periferici dello Stato (prefetture, questure, motorizzazioni, direzioni provinciali del lavoro) che verrebbero razionalizzati usando lo stesso parametro di popolazione minima delle Province. E sul punto sarebbero state superate le resistenze del ministro Cancellieri. Più avanti si potrebbe pensare di armonizzare la soglia di 350mila abitanti con quella di 300mila fissata nel Dl dismissioni per l’ accorpamento delle sedi periferiche del Mef. Nel mirino ci sono anche, da un lato, i municipi con meno di 1.000 abitanti che potranno entrare nelle unioni di Comuni (con 5mila abitanti) per l’ esercizio in forma associata delle funzioni fondamentali e, dall’ altro, le agenzie e le Spa intermedie. Una galassia che, secondo l’ ultima rilevazione dell’ Upi, solo a livello regionale abbraccia 3.127 casi: 266 enti, 507 consorzi, 407 aziende e 1.947 società. Upi che ha a sua volta rilanciato, con il presidente Giuseppe Castiglione, la propria proposta di riordino avanzata a febbraio. Una «vera e propria spending review» che fa «risparmiare al Paese 5 miliardi di euro, 100 volte di più dei 60 milioni che promette il decreto salva Italia sulle Province».

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