Riforma, authority e investimenti il settore idrico verso una svolta


Nel mondo dell’acqua, qualcosa si muove. A quasi un anno dal referendum che ha sancito come l’oro blu debba rimanere un bene comune, non gestibile prevalentemente da privati, il servizio idrico nazionale è tornato con forza al centro del dibattito politico. Ce lo ha riportato il governo Monti introducendo nel decreto “Salva Italia” un emendamento che destina la “sorveglianza” del servizio idrico all’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (Aeeg): l’authority che da oltre un decennio arbitra e controlla l’attività liberalizzata del mercato energetico in Italia. Il perfezionamento del passaggio dell’acqua all’Aeeg si completerà a breve, con un decreto interministeriale che definirà nel dettaglio “le funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici” ad essa attribuiti. Due tematiche, quelle dell’Authority e della riforma del servizio idrico, che saranno al centro del primo dibattito di Accadueo 2012 (23-25 maggio), la manifestazione internazionale dedicata al settore “acqua”. «Con l’ingresso di un’Autorità indipendente, il sistema idrico nazionale si appresta a voltare pagina — osserva Renato Drusiani, advisor di Federutiliy, l’associazione che raggruppa oltre 400 società attive nei servizi pubblici locali — Addirittura, possiamo definire questa svolta l’anno 0.2 per il mondo dell’acqua, dopo quella avuta con la legge Galli che rappresentava

l’anno 0.1. Una legge importante, quest’ultima, ma che purtroppo non ha aiutato in questi anni a dipanare l’opacità dell’intero sistema. Ora, affidando la sua sorveglianza ad un soggetto scevro da forzature politiche, ci avviciniamo ai modelli europei». Per provare ad orientarsi nel complicato mondo dell’acqua è utile partire dal rapporto “Blue Book. I dati sul servizio idrico integrato in Italia”, a cura della Fondazione Utilitatis con il supporto dell’Anea (Associazione Nazionale Enti d’Ambito). Il rapporto parla chiaro: gli investimenti nel settore idrico nei prossimi trent’anni saranno pari a 65,15 miliardi di euro (2,17 miliardi di euro all’anno); con una compartecipazione da parte dello Stato pari al 9,1% del totale. La quantificazione della spesa per investimenti indicata dal Blue Book — che ha analizzato 79 Piani d’Ambito e successive revisioni — deriva dalle stime delle Autorità d’Ambito (Ato), le assemblee di sindaci cui spetta per legge l’organizzazione, la programmazione, la definizione delle tariffe ed infine l’affidamento del servizio idrico. Dal rapporto emerge un’Italia dei servizi idrici che viaggia a due velocità sia per le sostanziali differenze a livello tariffario, sia per la disomogeneità territoriale nei servizi offerti ai cittadini. Sul primo punto, il Blue Book parte da una premessa: in Italia, il costo dell’acqua è tra i più economici a livello comunitario. Il rapporto infatti sottolinea che l’acqua più cara d’Europa si paga in Lussemburgo, con un costo di quasi 3,46 euro al metro cubo. Seguono Belgio con 3,44, Austria con 3,15, Germania con 3,07, Francia con 2,82 e via via gli altri Stati europei, fino all’Italia, penultima in classifica con appena 1,55 euro al metro cubo, la metà rispetto ai primi. I numeri di Blue Book sono stati raccolti prendendo in esame un campione di città della zona Euro e considerando la spesa annua di una famiglia con un consumo di 180 metri cubi. Dunque in Italia, l’acqua costa meno che nel resto d’Europa, anche se — puntualizza il rapporto — esistono differenze assai marcate fra una città e l’altra. «Questo perché il costo dell’acqua è influenzato da diversi fattori — spiega Drusiani — che variano appunto da una zona all’altra: la tipologia di trattamenti di potabilizzazione che necessita l’acqua, la vicinanza delle fonti di prelievo, lo stato degli impianti e delle reti idriche, gli investimenti necessari, che riguardano non solo captazione, potabilizzazione e distribuzione, ma anche l’adeguamento delle reti fognarie e degli impianti di depurazione». In Italia, secondo molti analisti del settore, la situazione è però destinata a cambiare. In diverse aree del Paese infatti il ciclo idrico è tutt’altro che “performante”. Vuoi per condotte colabrodo, che soprattutto nel Meridione disperdono anche oltre la metà dell’acqua immessa (contro, ad esempio, un 9% della Germania). Vuoi per un sistema depurativo ancora largamente insufficiente, che copre a malapena i due terzi della popolazione e che ha già fatto scattare, sino ad oggi, due procedure d’infrazione contro l’Italia da parte dell’Unione Europea. I 65 miliardi che occorrono in Italia nei prossimi 30 anni possono essere coperti, secondo Federutility, solo dalla fiscalità generale. «Come avviene in tutti gli altri paesi europei», afferma Drusiani. Le zone in cui saranno necessari gli interventi più urgenti, stando alle stime, sono il Nord Ovest e il Sud, con un totale di 15 miliardi di investimento ciascuno nel prossimo trentennio. Le regioni più in difficoltà sono la Sicilia, la Campania, il Lazio. Per il momento, gli investimenti programmati nei piani d’intervento dalle singole Autorità d’ambito territoriale ottimale (Aato), riaggiornati e revisionati con una periodicità almeno triennale, si fermano per ora a 38,7 miliardi e, di questi, solo uno scarso 9% sarà finanziato con fondi pubblici (3,25 miliardi di euro). Il resto dunque, verosimilmente dovrà essere recuperato attraverso il sistema tariffario. Per gli acquedotti, sempre secondo i programmi di spesa analizzati dal Blue Book, servirebbero circa 15 miliardi, di cui più della metà andrebbe per manutenzione straordinaria, mentre per fognature e depurazione ne servirebbero 16,4 (il restante 2,5%, circa 9,6 miliardi, va invece alla voce “altri investimenti”, cioè tutti gli altri tipi di interventi). Il Blue Book conferma che in Italia il costo dell’acqua è tra i più bassi a livello comunitario: 1,55 euro al metro cubo contro 3,44 in Belgio, 3,15 in Austria, 3,07 in Germania e 2,82 in Francia
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