La semplificazione dei regolamenti è un dovere di funzionalità per i Comuni

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Ogni Comune ha, oltre allo statuto, molti regolamenti che sollevano parecchi problemi. Essi disciplinano diverse materie di interesse locale, ma sono difettosi, perché si sono stratificati l’uno all’altro, hanno una stesura complicata, sono poco leggibili e sono quasi sempre ignorati dai cittadini comunali. I regolamenti dovrebbero essere le “piccole leggi” del Comune, ma proprio a causa di queste stratificazioni e imprecisioni sono “piccole leggi difettose”, che dovrebbero almeno essere semplificate.
Non vi è alcuna legge che impone ai Comuni la semplificazione dei loro regolamenti, ma questo è un dovere di funzionalità, e un Comune sensibile dovrebbe prendere in considerazione questo problema, che è come il “termometro giuridico” del livello della “buona amministrazione” dell’Ente locale.

I criteri della semplificazione dei regolamenti comunali possono essere così indicati:

1) Innanzitutto, è necessario che questi regolamenti locali siano ridotti di numero, accorpati ed unificati. Nel vigente Testo unico degli Enti locali del 2000 è previsto il regolamento degli “uffici e dei servizi”, deliberato dal Consiglio e dalla Giunta, che avrebbe dovuto essere il “regolamento centrale”, il più importante, ma il risultato di questa previsione legislativa è stato negativo. Infatti, questo regolamento non è il regolamento “cardine”, ed è invece uno dei tanti regolamenti del Comune. La situazione è perciò che ogni Comune ha attualmente molti, troppi regolamenti, emanati in epoche diverse, ed essi – quasi prendendo esempio dalle attuali frammentarie leggi statali e regionali – costituiscono un sistema normativo disarmonico.

2) Gli articoli di questi regolamenti devono essere ridotti di numero, e le norme dovrebbero essere sintetizzate, almeno nelle parti essenziali, Molti regolamenti presentano inutili ripetizioni e specialmente vi sono norme regolamentari (alcune settoriali, altre di carattere generale) che si sovrappongono l’una all’altra.

3) Lo stile delle norme regolamentari deve essere modificato e reso limpido e chiaro, anche ad una prima lettura. La maggior parte dei regolamenti comunali ha ancora lo stile dei regolamenti di esecuzione del 1800, che erano gonfi di minute disposizioni di dettaglio. È pur vero che il regolamento deve prevedere delle fattispecie particolari, ma essi devono essere “calibrati” anche nelle loro dimensioni, altrimenti rischiano di restare ignoti e destinati ad impolverarsi in qualche ufficio comunale. Per poter essere osservati, i regolamenti devono essere conosciuti, e la chiarezza delle norme è la base necessaria della loro conoscenza.

4) Questa operazione di semplificazione dei regolamenti comunali presuppone che siano bene chiariti i limiti del loro contenuto rispetto alle leggi. Il problema è delicato, perché l’articolo 7 del Testo unico stabilisce che i regolamenti devono “rispettare”, oltre che lo statuto del Comune, anche “i principi fissati dalle leggi”. Ma – come è noto – questi “principi” non sono stati puntualmente precisati dalle leggi, e talora questi limiti sono stati indicati – sempre in modo generico – con altre formulazioni, quali “i livelli essenziali delle prestazioni”. Allo stato attuale non è quindi chiaro quale sia lo “spazio” di autonomia dei regolamenti comunali. In questa situazione di incertezza ed in attesa di un nuovo Testo unico o di una Carta delle autonomie, si deve necessariamente tenere conto dell’ articolo 4 delle Disposizioni sulla legge in generale, che stabilisce che “i regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi”. Dall’esame analitico di questa norma si deriva quindi:

a) sono vietate le norme “contrarie” (cioè quelle che sono in palese contraddizione con quanto stabiliscono le leggi);

b) sono invece consentite le norme che sono “diverse” (cioè quelle che contengono delle diversità, speciali e “compatibili” con quanto stabiliscono le leggi).

5) Un altro problema delicato è costituito dal fatto che alcune Regioni hanno emanato delle leggi che hanno compresso (ed alcuni casi eliminato) la potestà regolamentare dei Comuni, che pure è tutelata dalla Costituzione all’articolo 117, comma 6. Si pensi, ad esempio, all’articolo 10 della legge 12/2005 della Regione Lombardia, che ha sostituito i regolamenti comunali edilizi di tutti i Comuni della Lombardia con non bene precisati “piani delle regole”, in modo che questi piani siano sottoposti ai piani delle regole stabiliti dalla Regione. Il nuovo Testo unico sugli Enti locali o la nuova Carta delle autonomie dovrà correggere queste disposizioni violatrici dell’ autonomia comunale (art. 5 Cost.); ma in attesa di questo intervento legislativo appare opportuno che i Comuni procedano ad una semplificazione e chiarificazione dei vigenti regolamenti e dei “piani delle regole”.

I regolamenti dei Comuni non sono norme decorative, ma sono uno strumento necessario per la buona amministrazione locale. Un grande studioso (Massimo Severo Giannini) aveva affermato che “se i Comuni non funzionano, non funziona lo Stato”. Per un buon funzionamento dell’ attività amministrativa dei Comuni, è quindi necessario:

a) che le “piccole leggi” dei Comuni siano chiare e comprensibili;

b) che questi regolamenti siano semplificati per iniziativa degli stessi Comuni, in modo che l’attività amministrativa si svolga nei “binari” di queste norme regolamentari e che si possano così recepire più agevolmente le nuove regole stabilite dalle leggi statali.

Il “meccanismo normativo” dei nostri tempi ha alla sua base i Comuni, e per costituire un punto di riferimento positivo per i cittadini i regolamenti comunali devono essere semplificati e resi chiari e comprensibili.

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