L’Italia che non ci piace: Mozzate come Detroit, 38 milioni di debito

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«Le alghe sono l’unica fonte energetica rinnovabile in grado di sostituire il petrolio»: era il 2010 quando l’allora presidente del consiglio comunale di Mozzate si era lanciato in questa spericolata previsione. Sono passati tre anni e l’amministrazione del piccolo Comune a metà strada tra Milano e Como è sull’orlo del default perché per via del bluff delle alghe (era stata prevista la nascita di una centrale alimentata con quel materiale), e di altre operazioni fallimentari, si ritrova con un debito di 38 milioni di euro su un bilancio annuale di appena 10.

RISCHIO COMMISSARIAMENTO – Sarà che il mare (ergo: le alghe), non stanno proprio dietro l’angolo, sarà che la finanza creativa è un gioco di prestigio che non sempre riesce, la situazione è la seguente: la Corte dei conti ha aperto un procedimento sui conti del Comune, la cui gestione finanziaria rischia di essere commissariata. Altro guaio: la pesante eredità è finita sulle spalle della giunta guidata da Luigi Monza, sindaco pd vittorioso alle elezioni del maggio scorso e subentrato dopo 15 anni a una amministrazione di diverso colore.
Monza in questi giorni deve fare appello all’esperienza maturata nel suo lavoro (è presidente di una cooperativa sociale) per tranquillizzare cittadini e soprattutto creditori: «Il Comune di Mozzate è blindato, non abbasseremo la saracinesca e stiamo lavorando per trovare una soluzione sostenibile» dichiara.

DEBITO DA 38 MILIONI – Di amministrazioni locali in rosso ce ne sono a bizzeffe, ma Mozzate è un caso record: con il debito che viaggia verso i 38 milioni (calcolo preciso da perfezionare) significa che ognuno degli 8.384 residenti (neonati compresi) si trova sulle spalle un fardello di 4.532 euro a testa. Tutto questo ad onta del fatto che l’amministrazione comasca poteva contare su entrate straordinarie: per decenni Mozzate ha ospitato una maxi-discarica di rifiuti urbani che ha fruttato alle casse comunali 12 milioni di euro solo negli ultimi anni.
E allora come si è arrivati al disastro? A partire dalla metà dell’ultimo decennio il Comune dà vita a una pletora di società controllate: Mozzate patrimonio, Asp, Acquaseprio, Oikos, Solare Mozzate, Eos tecnologies, e altre ancora a cui vengono delegati una serie di progetti e gestioni di servizi. Ad esse, in particolare alla Mozzate patrimonio, vengono conferiti tutti gli immobili di proprietà del Comune in modo che le società (pur sempre possedute al 100% dall’azionista pubblico) possano chiedere prestiti alle banche.

MUNICIPIO-HOLDING – In più il municipio, divenuto una sorta di holding, si fa garante di fidejussioni presso terzi. È la stagione della grandeur mozzatese. Qualche esempio? Viene pensato un parco fotovoltaico di 4 ettari che resta sulla carta; però nel frattempo è stato acceso un mutuo di 2 milioni di euro che vanno restituiti con gli interessi che ammontano a 900.000 euro. E poi c’è la faccenda delle alghe. Il Comune si mette in testa un’idea meravigliosa: ricavare energia dai vegetali provenienti dal mare grazie a un finanziamento della Banca europea di 35 milioni. Non se ne fa niente anche in questo caso ma il buco finanziario resta. E che buco: i primi conti veleggiano ampiamente sopra i 30 milioni di euro di scoperto, Mozzate si ritrova con i creditori alla porta e tutti i beni – dalla scuola elementare alla caserma dei carabinieri – ipotecati. «Ora la Corte dei conti potrebbe dichiarare che abbiamo violato il patto di stabilità – confessa il sindaco Monza – e costringerci ad aumentare le tasse e a tagliare le spesse all’osso».

L’ALLARME GIA’ NEL 2007 – Mozzate come Detroit, insomma o Mozzate come la Grecia, con la magistratura nelle vesti della Troika. Proprio i giudici contabili già nel 2007 avevano fiutato l’andazzo: «Il modello adottato dal Comune di Mozzate non risulta adeguato a criteri di economicità» scriveva in una sua relazione il giudice Massimo Valero. Non gli avevano dato ascolto e a Mozzate avevano continuato a fantasticare di utili milionari che miracolosamente sarebbero scaturiti come Venere dalla spuma del mare. Che dalla Lombardia, mannaggia alla sorte, non si vede neanche col binocolo.

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